Per assicurare tale protezione, il regolamento prevede che gli Stati membri designino nei loro territori «tribunali dei marchi comunitari» competenti per le azioni di contraffazione e, se la legge nazionale le consente, per quelle relative alla minaccia di contraffazione di un marchio comunitario. Quando un tribunale dei marchi comunitari accerta l’esistenza di atti costituenti contraffazione o minaccia di contraffazione di un marchio comunitario, emette un’ordinanza che vieta al contraffattore la prosecuzione di tali atti. Esso prende anche, in conformità della legge nazionale, le misure dirette ad assicurare l’osservanza di tale divieto. La società Chronopost SA è titolare dei marchi comunitario e francese «WEBSHIPPING», depositati nel 2000 e registrati, in particolare, per servizi di logistica e di trasmissione di informazioni, nonché per la raccolta e distribuzione di posta e la gestione di servizi di corriere espresso. Malgrado tale registrazione, la DHL Express France SAS (succeduta alla DHL International SA) ha utilizzato il medesimo termine per designare un servizio di gestione di corriere espresso accessibile principalmente tramite Internet.
Con sentenza in data 15 marzo 2006, il Tribunal de grande instance di Parigi (Francia) – operante in veste di tribunale dei marchi comunitari – ha condannato la DHL Express France per contraffazione del marchio francese WEBSHIPPING, senza però statuire sulla contraffazione del marchio comunitario. La Cour d’appel di Parigi, adita dalla Chronopost, ha confermato tale pronuncia il 9 novembre 2007, ed ha vietato alla DHL, a pena di astreinte, la prosecuzione dell’uso dei segni «WEBSHIPPING» e «WEB SHIPPING». Tuttavia, essa non ha accolto la domanda della Chronopost volta ad estendere gli effetti del divieto all’intero territorio dell’Unione. Detto giudice ha dunque limitato gli effetti del divieto al solo territorio francese. La DHL ha proposto ricorso per cassazione. Tale ricorso è stato respinto, ma, poiché la Chronopost aveva proposto ricorso incidentale contro la limitazione territoriale del divieto e dell’astreinte, la Cour de cassation ha reputato necessario interrogare la Corte di giustizia in merito a tale questione. La Corte risponde dichiarando, in primo luogo, che il regolamento deve essere interpretato nel senso che un divieto disposto da un giudice nazionale operante in veste di tribunale dei marchi comunitari si estende, in linea di principio, all’intero territorio dell’Unione.
La Corte rileva, infatti, che la portata territoriale di un divieto disposto da un tribunale dei marchi comunitari risulta determinata da due elementi, costituiti, l’uno, dalla competenza territoriale di tale tribunale e, l’altro, dal diritto esclusivo del titolare del marchio comunitario. Da un lato, la competenza territoriale del tribunale dei marchi ha carattere esclusivo e riguarda tutte le azioni di contraffazione e, se la legge nazionale le consente, quelle relative alla minaccia di contraffazione di un marchio comunitario. Tale tribunale è quindi competente, in particolare, a conoscere degli atti di contraffazione verificatisi nel territorio di qualsiasi Stato membro. Pertanto, la sua competenza si estende, in linea di principio, all’intero territorio dell’Unione. Dall’altro lato, il diritto esclusivo del titolare di un marchio comunitario si estende, in linea di principio, all’intero territorio dell’Unione, nel quale i marchi comunitari beneficiano di una protezione uniforme e producono i loro effetti.
Infatti, il marchio comunitario presenta un carattere unitario, che mira a proteggere in modo uniforme in tutto il territorio dell’Unione il diritto conferito dal marchio stesso dinanzi al rischio di contraffazioni. Al fine di garantire tale protezione uniforme, il divieto di prosecuzione di atti costituenti contraffazione o minaccia di contraffazione emesso da un tribunale dei marchi comunitari deve estendersi, in linea di principio, all’intero territorio dell’Unione. Tuttavia, la portata territoriale del divieto può essere limitata in alcuni casi. Infatti, il diritto esclusivo del titolare del marchio comunitario viene conferito al titolare affinché egli possa assicurarsi che tale marchio sia in grado di adempiere le funzioni sue proprie . Pertanto, l’esercizio di tale diritto deve essere riservato ai casi in cui l’uso del segno da parte di un terzo pregiudica o può pregiudicare le funzioni del marchio.
Di conseguenza, qualora un tribunale dei marchi comunitari constati che gli atti costituenti contraffazione o minaccia di contraffazione sono limitati ad un unico Stato membro o ad una parte del territorio dell’Unione – segnatamente a motivo del fatto che il soggetto richiedente il provvedimento di divieto ha circoscritto la portata territoriale della propria azione giudiziale, oppure perché il convenuto fornisce prove che dimostrano che l’uso del segno in questione non pregiudica o non è idoneo a pregiudicare le funzioni del marchio, in particolare per motivi linguistici –, il tribunale predetto deve limitare la portata territoriale del divieto che emette. In secondo luogo, la misura coercitiva disposta da un tribunale dei marchi comunitari in applicazione del proprio diritto nazionale produce effetti anche negli Stati membri diversi da quello cui tale giudice appartiene.
La Corte ricorda che le misure coercitive, come ad esempio un’astreinte (sanzione pecuniaria da pagare in caso di inottemperanza al divieto), ordinate da un tribunale dei marchi comunitari in applicazione del proprio diritto nazionale mirano a garantire il rispetto di un divieto di prosecuzione di atti costituenti contraffazione o minaccia di contraffazione da esso pronunciato. Per giunta, tali misure possono essere efficaci soltanto se producono effetti nel medesimo territorio nel quale produce effetti lo stesso provvedimento giurisdizionale di divieto. Pertanto, al fine di garantire il rispetto del divieto, qualora venga adito un tribunale di uno Stato membro nel quale il divieto è stato violato, tale giudice deve riconoscere e far eseguire la decisione accompagnata da misure coercitive secondo le regole e le modalità previste dal proprio diritto interno. Infatti, in virtù del principio di leale cooperazione, gli Stati membri e i loro giudici sono tenuti ad assicurare la tutela giurisdizionale dei diritti di cui i singoli sono titolari in forza del diritto dell’Unione .
Nel caso in cui il diritto dello Stato membro non preveda misure coercitive analoghe a quelle disposte dal tribunale dei marchi comunitari di un altro Stato membro che ha pronunciato il divieto, il tribunale adito deve realizzare l’obiettivo di repressione facendo ricorso alle pertinenti disposizioni della propria legislazione interna idonee a garantire in modo equivalente il rispetto del divieto inizialmente pronunciato. (Fonte CertineWs)