Senza voler fare esaminare dettagliatamente la giurisprudenza sul punto, è appena il caso di segnalare che ogni termine di decadenza inferiore ai sei mesi non può essere ritenuto legittimo poichè in contrasto con l’art. 2113 c.c. che, per impugnare rinunce e transazioni poste in essere dal lavoratore, prevede proprio il termine di sei mesi dalla data di cassazione del rapporto di lavoro se intervenute nel corso dello stesso, o dalla data di sottoscrizione, se poste in essere successivamente alla cessazione del rapporto medesimo.
Viceversa, la clausola contrattuale di decadenza in base alla quale la stessa si compia in almeno sei mesi è da ritenersi certamente valida.
Tale orientamento è stato più volte espresso dalla Suprema Corte di Cassazione allorchè è stata chiamata a pronunciarsi sull’art.36 negli anni divenuto 35 del contratto collettivo del settore edilizia industria.
Recentemente, le parti sociali con la stipula del nuovo contratto collettivo, per mitigare il regime decadenziale, ritenuto troppo gravoso per il lavoratore, hanno escluso che detta decadenza si applichi al trattamento di fine rapporto modificando detto articolo in tal senso.
Al fine di evitare la decadenza, dopo alcune oscillazioni della giurisprudenza di merito che nelle posizioni più estreme riteneva addirittura necessario instaurare il giudizio nel termine di sei mesi, la Suprema Corte ha affermato che può essere sufficiente dare prova dell’avvenuto reclamo, con la possibilità, quindi, di proporre l’azione anche successivamente allo spirare del termine decadenziale semestrale, ma sempre entro quello di prescrizione. (avv. R. Tigre/Certinews)