Non il solito guru, ma il braccio destro della tua “imPRESA”. Marco Massari e la sua idea di sviluppo del business
Curare poco la forma e molto la sostanza, ponendosi al pari dell’imprenditore e parlando un linguaggio che per lui sia chiaro, con strategie fatte di risultati misurabili. È questo l’approccio messo in atto da Marco Massari, consulente (anche se non ama essere definito così) che si dissocia completamente da tutti quei guru aziendali, che propongono servizi eccellenti, ma spesso non personalizzati sulle reali esigenze del loro cliente.
Esistono tanti “consulenti” per le imprese, in cosa lei è davvero “diverso”?
È vero, esistono tanti “consulenti”, che quasi sempre, dietro una facciata elegantissima e formale, restano comunque su un piano differente rispetto alle imprese di cui si occupano. Spesso “fanno cadere le cose dall’alto”, e magari forniscono alle aziende servizi in sé validi, ma non tagliati sulle reali esigenze dei clienti. Giusto per fare un esempio, business plan o check-up aziendali stupendi, impaginati benissimo e pieni di paroloni e numeri, che, però, gli imprenditori non comprendono davvero e che restano su uno scaffale a prendere polvere. Io ho un approccio totalmente diverso: preferisco non curare più di tanto la forma, e ho capito che questa cosa ai clienti piace, perché mi sentono come uno di loro e non il grande guru che arriva, incute anche un po’ di timore reverenziale e promette mari e monti. Curo, invece, tantissimo la sostanza, e mi premuro sempre di accertarmi che il mio intervento sia davvero rilevante per l’azienda. Voglio toccare con mano i risultati, vedere che i miglioramenti ci siano davvero stati.
Lei si definisce “Il Braccio destro della tua impresa”, perché?
Perché, come dicevo prima, non mi pongo come un qualcuno che “dall’alto” dispensa il suo sapere, ma come un collaboratore che cerca di dare un aiuto concreto, mettendosi a fianco degli imprenditori e lavorando in modo sinergico. Ecco perché non mi riconosco nemmeno più nel termine “consulente”, che pur in passato ho utilizzato. Il mio lavoro non è tanto “dare consigli”, ma accertarmi che questi suggerimenti vengano applicati, compresi ed interiorizzati. Una delle mie più grandi soddisfazioni, infatti, è quando i clienti non hanno più bisogno di me, perché hanno imparato e sono cresciuti dal punto di vista imprenditoriale. Ecco un’altra cosa che mi differenzia da tanti altri professionisti: non cerco mai di “legare” i clienti a vita, ma di formarli, in modo che un giorno diventino autonomi e non abbiano più bisogno di me.
Gli imprenditori italiani sono spesso geniali e dei gran lavoratori, ma mancano di strategia, pianificazione, capacità di vedere l’impresa in modo moderno. Lei per il suo lavoro viene a contatto con tante imprese: quali sono le 3 cose che a suo avviso più mancano al piccolo/medio imprenditore italiano?
L’imprenditore italiano è, nella stragrande maggioranza dei casi, a capo di piccole imprese che, a loro volta, sono soprattutto “microimprese”. È questa una delle caratteristiche principali dell’imprenditoria nazionale. È ovvio che non si può generalizzare, ma in tantissime occasioni ho notato che:
- gli imprenditori sono spesso bravissimi a svolgere tecnicamente il loro mestiere, ma non hanno un’adeguata formazione manageriale e spesso si affidano all’improvvisazione. Inoltre, un po’ per necessità e un po’ per scelta, tendono ad essere accentratori, occupandosi di troppe cose, tutte in una volta. Da questo derivano situazioni caotiche e poco efficaci ed efficienti.
- Spesso manca una corretta visione strategica. Giusto per fare un esempio, pensano che basti aprire un’attività e alzare la saracinesca per avere successo. Poi, quando si accorgono che non è affatto così, tendono ad attribuire la colpa all’esterno (lo Stato, le tasse, Amazon, le banche ecc.) senza fare una sana autocritica che possa essere di spinta ad un reale balzo qualitativo.
- Tendono a cercare di fare impresa senza rischiare nulla. Ricorrono a “società a responsabilità limitata”, mettendoci meno capitale possibile, credono di poter chiedere tutto il resto alle banche, non si intestano nulla, e via dicendo. Curano poco i bilanci, preoccupati soprattutto di pagare poche tasse, e appena possibile cercano dei sotterfugi per pagarne ancora meno. La realtà è che queste modalità ormai sono sempre meno utilizzabili, ragionando così non si va da nessuna parte. È per questo che mi faccio promotore di un cambio culturale, che porti a comprendere davvero quali sono le corrette dinamiche che possono condurre ad un duraturo successo aziendale.
Il Lockdown ha messo a dura prova molte aziende, ci può dare 3 suggerimenti, 3 cose da fare per la PMI per cercare di superare questo difficile periodo?
Nella seconda edizione del mio libro “L’impresa di essere imprenditori” ho dedicato a questo argomento un intero nuovo capitolo. Ecco qualche utile spunto di riflessione:
- utilizzare questa esperienza, per molti drammatica, per capire che le aziende devono essere gestite diversamente, in modo più lungimirante e professionale. Lo so, molti giudicheranno antipatica questa affermazione, ma la normalità dovrebbe essere che un’impresa, anche se costretta a chiudere per qualche mese, abbia al suo interno le risorse per “sopravvivere”. Invece, in Italia abbiamo una percentuale elevatissima di aziende gestite in maniera approssimativa, sempre sul filo del rasoio, che dopo qualche giorno di chiusura non hanno già più autonomia finanziaria. Dunque, dobbiamo far tesoro di questa esperienza e cambiare mentalità.
- Operativamente parlando, nel brevissimo periodo, l’unico modo che un’azienda ha di assicurarsi la sopravvivenza, è accumulare quanta più liquidità possibile, vale a dire l’arcinoto “cash flow”. Entro certi limiti, ben vengano dunque i finanziamenti dallo Stato, così come le rateazioni di imposte e contributi, o (se possibile) la sottoscrizione di piani di rientro coi fornitori. Nel medio/lungo periodo, però, solo una corretta visione strategica, implementata con una mentalità manageriale corretta, potrà dare i suoi frutti.
- Un altro suggerimento operativo di breve periodo, che è sempre legato alla faccenda della liquidità, è quello di cercare idee che, magari, non rappresenteranno la strategia definitiva della vostra azienda, ma che nell’immediato possono aiutare. Nei mesi del lockdown, ci sono state aziende che hanno ottenuto buoni risultati: chi ha riconvertito la produzione verso disinfettanti e mascherine, chi si è buttato nelle consegne a domicilio, chi è stato capace di svendere le scorte di magazzino utilizzando sapientemente il canale dell’e-commerce. Dunque, suggerisco sempre di coltivare e all’occorrenza scatenare la propria creatività.
Due dei problemi “strutturali” di molte PMI, esploso con il lockdown, è la mancanza di liquidità e l’accesso al credito. In parole semplici, come si deve fare?
Due dei problemi “strutturali” di molte PMI, esploso con il lockdown, è la mancanza di liquidità e l’accesso al credito. In parole semplici, come si deve fare? Ahimé, nelle prime settimane del lockdown era passato il messaggio, errato, che l’accesso al credito fosse diventato facile ed immediato per tutti. Non è stato così. Eccezion fatta per il finanziamento da 30.000 euro rimborsabile in 10 anni, che comunque è sempre soggetto ad una, seppur semplice, valutazione, le regole restano quelle che già tutti conoscono. Le Banche devono valutare la concedibilità dei finanziamenti da un punto di vista economico e finanziario, dunque la logica dei “rating”, a cui gli imprenditori ormai sono avvezzi, è confermata. Agli imprenditori suggerisco, dunque, di approcciarsi alle banche esattamente come si faceva prima, perché nessun tipo di finanziamento è “dovuto” e tutto deve subire una valutazione. Bisogna spiegare alle banche che somma serve, motivarla, e chiarire, “numeri alla mano”, come le rate verranno restituite.