Certificazione Sa 8000, in Italia record di imprese sprovviste su controllo filiera

La norma Social Accountability contiene nove requisiti sociali orientati all’incremento della capacità competitiva di quelle organizzazioni che volontariamente forniscono garanzia di eticità della propria filiera produttiva e del proprio ciclo produttivo
Se per le aziende la sfida futura è rappresentata dalla sostenibilità e trasparenza della filiera, allora il Bel paese è sulla buona strada. L’Italia, infatti, è il paese al mondo con il numero più alto di imprese provviste della certificazione etica Sa 8000. Lo rivelano i dati del Social accountability accreditation services (Saas), l’ente che presiede al rilascio delle certificazioni nel mondo.
In particolare, la norma Sa (Social Accountability) 8000, standard internazionale elaborato dall’ente americano Sai, contiene nove requisiti sociali orientati all’incremento della capacità competitiva di quelle organizzazioni che volontariamente forniscono garanzia di eticità della propria filiera produttiva e del proprio ciclo produttivo.
Al 30 settembre 2010, i siti dotati di schema Sa 8000 in Italia erano 799, pari al 34,29% delle 2.330 organizzazioni su scala globale. Il nostro paese precede l’India, ferma a 539 siti (il 23,13%), la Cina (339 siti, il 14,55%) e il Pakistan (133 siti, il 5,71 %). Le dimensioni medio-piccole delle imprese nostrane fanno scendere l’Italia al terzo posto della classifica per numero di lavoratori coinvolti dalla Sa 8000. Così, i dipendenti delle imprese italiane certificate sono 199.835, il 14,64% degli 1,36 milioni totali, contro i 351.211 dell’India (al primo posto con il 25,73%) e i 254.972 della Cina (al secondo posto con il 18,68%).
La crescita delle certificazioni Sa 8000 è proseguita ininterrottamente nel corso degli ultimi dodici anni, sin dalla sua introduzione nel 1998, sebbene sia andata rallentando progressivamente. La crisi ha accentuato questa tendenza: l’aumento dei siti certificati anno su anno è sceso infatti dal +36% del 2006 al +32% del 2007, per poi scivolare al +19% del 2008 e al +12% del 2009. Al terzo trimestre del 2010, la crescita è stata pari all’11 per cento.
Ma la sostenibilità della filiera deve prendere in considerazione anche altri aspetti come l’approvvigionamento delle materie che spesso avviene oltre i confini nazionali. Ad accendere i riflettori sul rapporto complesso tra responsabilità sociale d’impresa e filiera sostenibile , ci ha pensato il Csr Manager Network, l’Associazione che riunisce i responsabili delle politiche ambientali e sociali delle maggiori imprese italiane promossa da Altis (Alta Scuola Impresa e Società dell’Università Cattolica di Milano) e Isvi (Istituto per i valori d’impresa) nell’incontro di oggi a Bologna.
Il tema acquista sempre più valore anche alle luce dei dati che vedono aziende e consumatori sempre più impegnati. Tra i marchi che in Italia si stanno impegnando in questa direzione troviamo Coop, Gucci, Illycaffè e Technip Italy. Coop Italia, infatti, è stata la prima azienda in Italia ad aderire agli standard etici della Sa 8000, dotandosi della certificazione già nel 1998. Nel tempo, Coop ha trasferito l’impegno ai propri fornitori, in particolar modo quelli dei prodotti a marchio Coop, che hanno accettato di sottoporsi a ispezioni periodiche da parte di certificatori esterni per accertare il reale rispetto delle condizioni minime della certificazione etica.
Anche il gruppo Gucci, con oltre 560 negozi e 11mila dipendenti, è uno dei pochi marchi del lusso in Italia ad aver ottenuto la certificazione Sa8000 nel 2007 per pelletteria e gioielli, e nel 2009 per le calzature e il polo logistico, estendendola di conseguenza anche ai propri fornitori. Un impegno etico cui ha fatto seguito l’avvio di un percorso per ottenere anche la certificazione ambientale, sempre nell’ottica di responsabilità sociale d’impresa.
E non solo. Allo scopo di promuovere modelli di comportamento che garantiscono ad ogni livello l’adozione degli standard della responsabilità sociale, Gucci dopo l’accordo sindacale del 2004, nel 2009 ha sottoscritto anche un accordo tra Confindustria Firenze, Cna Firenze e le organizzazioni sindacali Filtea-Cgil, Femca-Cisl, Ugl e Rsu Gucci.
A dimostrazione che in questo percorso diviene fondamentale un protagonismo nuovo e attivo dei propri stakeholder, a cominciare dalle Ong. Il controllo della filiera, spiega Rossella Ravagli, Csr manager di Gucci, “non può prescindere da una fase di ascolto e ricerca del lavoro delle Ong. E’ un valore indispensabile per l’azienda, oggi più di prima”. Le organizzazioni non governative, “ma anche quelle sindacali garantiscono un presidio continuo che le aziende devono tener conto per capire come orientare il proprio business”.
Recentemente, invece, Illycaffè è la prima azienda ad avere ottenuto la certificazione ‘Responsible Supply Chain Process’ sviluppata da Det Norske Veritas (Dnv), fondazione internazionale indipendente leader di mercato, che attesta la capacità della struttura aziendale di porre in atto un approccio sostenibile nei processi e nelle relazioni con gli stakeholder lungo tutta la filiera produttiva, in particolare lungo la catena di fornitura.
Negli ultimi vent’anni Illycaffè ha messo a punto un sistema di relazioni dirette con i propri fornitori, basato su tre pilastri: selezionare, nei Pesi produttori di caffè, i coltivatori migliori, laddove possibile attraverso l’istituzione di premi per la qualità; trasferire a questi coltivatori, attraverso l’Università del Caffè e il lavoro quotidiano sul campo di agronomi specializzati, tutte quelle conoscenze maturate in ottant’anni di storia d’impresa e di ricerca necessarie per raggiungere i picchi d’eccellenza richiesti dagli standard illy; acquistare le produzioni migliori direttamente dalle mani dei coltivatori, pagando loro prezzi superiori a quelli di mercato per premiare la qualità prodotta e stimolare il miglioramento continuo.
Altre aziende, invece, valutano sul posto i propri fornitori, come Technip Italy (Tpit), società impegnata nella progettazione e realizzazione di grandi impianti in ogni settore dell’industria petrolifera e del gas. A fronte di ciascun lavoro la Tpit esegue la mappatura dei fornitori che saranno coinvolti ed avvia il processo di coinvolgimento con l’invio a tali fornitori del questionario di valutazione.
Questo documento, una volta ricevuto compilato dal fornitore, viene analizzato per valutare il grado di maturità della organizzazione sulle tematiche relative ai diritti umani e diritti dei lavoratori come strutturati nella norma Sa8000, di cui Tpit ha acquisito la certificazione nel 2004.
Per quei fornitori assegnatari di un ordine o di un contratto il processo continua con l’inserimento nei documenti contrattuali di precise clausole che richiamano ‘i principi’ della Sa8000 e che informano il fornitore circa la intenzione della Tpit di eseguire una vista per verificare il grado di applicazione di detti principi.
La visita comporterà la stesura di un rapporto di verifica accompagnato da un piano di risoluzione delle deviazioni riscontrate. Queste risoluzioni vengono concordate con lo stesso fornitore che si impegna con l’aiuto fattivo della stessa organizzazione Tpit alla loro chiusura.
Il tema della sostenibilità delle filiera ”è molto delicato e difficile da gestire” commenta Mario Molteni, direttore di Csr Manager Network. In particolare, la difficoltà per l’impresa sta ”nel monitorare la produzione che avviene in contesti diversi”.
Mentre per ”le politiche di welfare aziendale si può predisporre un piano e pianificare gli investimenti, è più difficile per il controllo della filiera”. Per questo, secondo Molteni, ”è opportuno per l’impresa appoggiarsi ad enti esterni” per il controllo e la scelta dei fornitori. La sostenibilità della filiera ”è una questione troppo impegnativa” che non può essere trascurata. (Fonte CertineWs)

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