Avete mai letto sulle etichette degli alimenti la dicitura «irradiato» oppure «trattato con radiazioni ionizzanti»? Sono cibi che vengono esposti a raggi gamma emessi da radionuclidi, oppure a raggi X o a fasci di elettroni emessi da sorgenti artificiali.
Sono una trentina le categorie di alimenti che in Europa vengono assoggettate a questo trattamento: si va dalla cipolla alle patate, da certi tipi di frutta ai cereali, fino alle spezie, alla carne, ai molluschi e alle uova. In Italia l’autorizzazione all’irradiazione vige solo per patate, cipolla e aglio, ma negli altri paesi europei il nulla osta copre un’ampia gamma di cibi che possono ricevere anche fino a 10 KiloGray (kGy). La pratica dell’irradiazione degli alimenti è normata da una direttiva CE del febbraio 1999 alla quale l’Italia ha dato attuazione nel 2001 con un decreto legislativo. Come dice la stessa direttiva comunitaria, tale pratica può essere utilizzata «allo scopo di ridurre l’incidenza di malattie di origine alimentare mediante la distruzione di organismi patogeni». Di fatto l’irradiazione permette di conservare i cibi più a lungo impedendone anche la germinazione, inattivando gli enzimi responsabili della degradazione e posticipando la marcescenza dell’alimento. La normativa impone anche che gli alimenti irradiati riportino sull’etichetta un’apposita dicitura, ma non sempre questo accade.
CertineWs/MGrazia d’Errico