Quanto temuto anni fa discutendo nei “salotti buoni” della certificazione sta puntualmente accadendo. Erano gli anni in cui almeno il 70% degli attuali operatori del settore neanche sapeva di cosa si stesse discutendo: facevano altro, nella migliore delle ipotesi andavano ancora a scuola. Erano gli anni in cui ogni tipo di certifi cazione era VOLONTARIA, chi ambiva al prestigio indiscusso a livello internazionale derivante dal possedere una certificazione doveva sudarla e…pagarla. L’impresa doveva compiere degli sforzi di analisi e riorganizzativi assolutamente non trascurabili, gli operatori erano professionisti con la P maiuscola e quindi per poter ambire a loro era necessario sostenere anche un rilevante sforzo economico. Sull’altro piatto della bilancia c’era efficienza, efficacia, riduzione di costi e l’accesso al Club dei pochi, quelli che potevano vantare certificazioni VERE di qualità, ambientali, di sicurezza e via dicendo. Poi, in Italia, iniziarono ad esserci finanziamenti pubblici a fondo perduto per permettere di arrivare a conseguire l’ambito bollino, comparirono i primi bandi di stazioni appaltanti pubbliche e private che iniziarono ad inserire tra i requisiti le certificazioni, ancora la certificazione di qualità requisito per ottenere l’accreditamento nel settore della sanità e della formazione per concludere con l’introduzione del meccanismo premiante alle imprese di costruzioni che volevano conseguire l’attestazione SOA (necessaria per effettuare lavori pubblici)…PER CONTINUARE A LEGGERE L’EDITORIALE SINO ALLA FINE, REGISTRATI E SCARICA GRATIS IL MAGAZINE DI MARZO. BUONA LETTURA!