L’astensione anticipata e prorogata per maternità ai sensi degli art. 17, commi 2, 3 e 4 del medesimo decreto. In particolare, il comma 2 contempla i casi in cui il provvedimento di astensione dal lavoro debba essere adottato da parte della competente DPL “sulla base di accertamento medico, avvalendosi dei competenti organi del Servizio sanitario nazionale”.
Essi sono:
a) il caso di gravi complicanze della gravidanza o di preesistenti forme morbose che si presume possano essere aggravate dallo stato di gravidanza;
b) il caso in cui le condizioni di lavoro o ambientali siano ritenute pregiudizievoli alla salute della donna e del bambino;
c) il caso in cui la lavoratrice non possa essere spostata ad altre mansioni, secondo quanto previsto dagli articoli 7 e 12.
Il successivo comma 3 chiarisce che, nei casi di astensione anticipata per complicanze della gravidanza, l’astensione è disposta dal servizio ispettivo del Ministero del Lavoro “secondo le risultanze dell’accertamento medico ivi previsto”.
Il comma 4 del citato art. 17 specifica, infine, che “ l’astensione dal lavoro di cui alle lettere b) e c) del comma 2 può essere disposta dal servizio ispettivo del Ministero del Lavoro, d’ufficio o su istanza della lavoratrice, qualora nel corso della propria attività di vigilanza constati l’esistenza delle condizioni che danno luogo all’astensione medesima”.
Ciò premesso, si rileva come – nelle ipotesi di cui alle predette lettere a) e b) del comma 2 dell’art. 17 – il servizio ispettivo del Ministero, nel disporre l’astensione anticipata e/o prorogata dal lavoro, possa anche prescindere dall’acquisizione di un parere medico (che, nel caso fosse richiesto, dovrebbe comunque provenire dalla ASL) e procedere all’emanazione del relativo provvedimento di interdizione sulla base dei risultati della propria attività di vigilanza, qualora essi evidenzino l’esistenza di condizioni che danno luogo all’astensione.
Del resto, ciò è confermato dal tenore della risposta all’interpello n. 28/2008, citato da codesto Ufficio nella nota in riferimento, ove si chiarisce che “ l’intervento del Servizio Ispezione lavoro risponde ad un’esigenza di tutela della lavoratrice madre attraverso valutazione sostanziale e diretta delle condizioni di lavoro e dell’organizzazione aziendale, che il suddetto SIL svolge direttamente. Resta inteso che ove un accertamento medico risultasse necessario, l’Ispettorato del lavoro potrà rivolgersi ai servizi delle aziende sanitarie. La verifica di tale ipotesi, al fine della proroga dell’astensione, può prescindere dal documento di valutazione dei rischi che comunque l’ispettore ha facoltà di esaminare, mentre nei casi in cui il SIL necessiti di una valutazione sanitaria, questa costituirà uno dei fondamenti su cui concedere l’astensione, insieme alla verifica della circostanza che la lavoratrice non possa essere spostata ad altre mansioni”.
In merito al caso specifico, ci si chiede come mai la ASL, chiamata dal datore di lavoro (la cooperativa sociale) a dare un giudizio medico – come tale, di tipo “tecnico” – si sia pronunciata in senso negativo al prolungamento dell’astensione dal lavoro post-partum per le lavoratrici impiegate dalla cooperativa nell’assistenza ai soggetti con grave disabilità psico-fisica, tenuto conto che l’art. 7 dello stesso decreto, alla lettera L) espressamente qualifica come tali, prescrivendone l’astensione durante la gestazione e per 7 mesi dopo il parto, proprio “ i lavori di assistenza e cura degli infermi nei sanatori e nei reparti per malattie infettive e per malattie nervose e mentali”.
Al riguardo, è di tutta evidenza come, sebbene nel caso in questione le lavoratrici non siano dipendenti di una vera e propria struttura ospedaliera, tuttavia nella sostanza il contatto quotidiano con soggetti affetti da grave disabilità psico-fisica comporti, di fatto, la medesima esposizione ai rischi che la suddetta lettera L) dell’Allegato A mira a scongiurare.
Indubbiamente, la mancanza di indicazioni dettagliate (c.d. “linee guida”) a livello regionale o provinciale, in merito alla classificazione dei rischi e pericoli per la salute e la sicurezza delle donne gestanti e durante il periodo di allattamento, può comportare una disparità di trattamento rispetto alle lavoratrici che invece risiedono e lavorano in regioni o province che hanno come riferimento le suddette linee guida. Ciò non toglie, però, che sia necessario applicare le disposizioni di legge senza troppe “rigidità” dal punto di vista formale, atteso che si tratta di norme poste a tutela della salute e della sicurezza della donna e del bambino.
A tal proposito, considerato che, nel caso in questione, l’accertamento della ASL era stato richiesto non da codesta DPL ma dal datore di lavoro, si ritiene auspicabile – oltre che formalmente possibile – riaprire un dialogo con la competente ASL, richiedendo un nuovo sopralluogo per le vie istituzionali (art. 17, comma 2).
Si rammenta, ad ogni buon fine, che l’accertamento medico effettuato dalla ASL, costituendo un giudizio di carattere tecnico, è senz’altro vincolante per la DPL ai fini dell’adozione del relativo provvedimento di interdizione dal lavoro anticipata o posticipata ai sensi degli interpello n. 28/2008.
Tale conclusione risulta, del resto, confermata, in via più generale, dal tenore dell’art. 17 della legge n. 241/90 che, nel prescrivere che il responsabile del procedimento, ove siano necessarie valutazioni di organi tecnici e questi non le producano entro i termini di legge, debba rivolgersi ad altri organi dotati di capacità tecnica equipollente, esclude espressamente l’applicazione della suddetta disposizione “ in caso di valutazioni che debbano essere prodotte da amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico territoriale e della salute dei cittadini”. (Fonte CertineWs)