Primo: nessun vincolo sulla riduzione delle emissioni serra che, a differenza di quello che avviene nei paesi tecnologicamente più avanzati, nei paesi recentemente industrializzati sono ancora legate alla crescita del Pil. Secondo: nessun controllo internazionale senza aiuti economici. Terzo: nessuna data per il picco delle emissioni che alterano il clima. Quarto: niente barriere economiche sulle merci ad alto impatto climatico prodotte nei paesi in via di sviluppo. Il ministro dell’Ambiente indiano, Jarain Ramesh, ha aggiunto che su questa posizione convergeranno le delegazioni di Cina, Sud Africa e Brasile. Le economie di questi paesi hanno però interessi non omogenei e resta da misurare la solidità del cartello del no. La Cina punta a conquistare la leadership delle fonti rinnovabili e ha annunciato aumenti di efficienza energetica dell’ordine del 40 per cento: ha una struttura industriale concentrata e ha bisogno di un ulteriore salto tecnologico per restare competitiva anche in vista di una possibile rivalutazione dello yuan nei confronti del dollaro. Il Brasile ha deciso di ridurre drasticamente la deforestazione dell’Amazzonia aprendo la porta a un possibile taglio della CO2 vicino al 40 per cento al 2020. Il Sudafrica è al quattordicesimo posto per le emissioni di carbonio, ma rischia di pagare un prezzo altissimo in caso di un cambiamento climatico violento. Sarà possibile nelle due settimane di negoziato ricucire posizioni così divergenti? I paesi in via di sviluppo chiedono 400 miliardi di dollari l’anno per agevolare l’export delle tecnologie a basso impatto ambientale. (Fonte CertineWs)