Lo ha annunciato nei giorni scorsi Satoshi Ozawa, vice presidente esecutivo della società, dichiarando la difficoltà dell’azienda nel riuscire a mantenere l’attuale impegno per la produzione nazionale. «Non ho altra scelta – ha detto Ozawa – che suggerire al presidente di riconsiderare la politica produttiva. Non possiamo semplicemente continuare a seguire il nostro desiderio di mantenere la produzione in Giappone al valore attuale dello yen». Il manager Toyota ha spiegato che la decisione è legata al costo più elevato del lavoro in Giappone, allo yen forte e alla mancanza di progressi nelle discussioni sulla partecipazione del Giappone nel partenariato Trans-Pacific, cioè nell’accordo di libero scambio tra le nazioni dell’area Pacifica. Le grandi case automobilistiche giapponesi ripongono molte speranze sulla partecipazione del Giappone nel partenariato Trans-Pacific, che potrebbe ridurre i dazi doganali tra i Paesi membri. L’amministrazione del primo ministro Naoto Kan, però, ha rimandato la decisione sull’opportunità o meno di aderire ai negoziati sull’accordo commerciale. Prima del terremoto e dello tsunami dell’11 marzo la Toyota prevedeva una produzione mondiale di 7.700.000 unità per quest’anno, di cui 3.100.000 dovevano essere prodotte in Giappone. Più della metà delle vetture nazionali erano però destinate all’esportazione e questo, con l’ascesa dello yen rispetto alle altre principali valute, avrebbe reso il costruttore vulnerabile. Per più di 30 anni – se si esclude il 2009, anno della recessione globale in cui la produzione è scesa a 2,79 milioni di unità – la Toyota ha mantenuto la produzione nazionale di veicoli superiore ai 3 milioni di unità, livello considerato importante per l’economia e per la stabilità del lavoro del Giappone. Ma ora la Toyota ha deciso di fare marcia indietro sulla politica aziendale e di rivedere l’attività produttiva delle fabbriche nazionali. (fonte CertineWs)